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Quando la trasparenza si ferma ai titoli: la verità nascosta sulla valutazione della Pubblica Amministrazione

18/10/2025 14:10

Redazione

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Quando la trasparenza si ferma ai titoli: la verità nascosta sulla valutazione della Pubblica Amministrazione

La trasparenza nella pubblica amministrazione è spesso raccontata come una conquista moderna.

La trasparenza nella pubblica amministrazione è spesso raccontata come una conquista moderna. I portali aperti, i report di performance e i bilanci digitali vengono presentati come la prova di un sistema che finalmente si mostra al cittadino. Eppure, dietro la vetrina dei numeri e dei grafici colorati, si nasconde un racconto diverso, più silenzioso ma altrettanto rilevante: quello delle distorsioni nella valutazione del lavoro pubblico.

Ogni anno, decine di enti pubblicano documenti che dovrebbero raccontare i risultati raggiunti. Si parla di obiettivi conseguiti al novanta o novantacinque per cento, di efficienza in crescita e di tempi di attesa ridotti. Ma quando si prova a capire come questi dati siano stati raccolti, emergono molte zone d’ombra. In molti casi le cifre sono auto-dichiarate, non esistono verifiche indipendenti e i criteri cambiano da un’amministrazione all’altra. Così, mentre il cittadino legge un bilancio che sembra positivo, non ha modo di sapere se quei miglioramenti abbiano davvero prodotto un servizio migliore.

La distorsione non riguarda solo i dati ma anche la narrazione stessa. Nei comunicati istituzionali si preferisce raccontare il successo di una nuova piattaforma digitale piuttosto che i disservizi quotidiani che ancora affliggono migliaia di utenti. Quando un ufficio riesce a ridurre i tempi medi di una procedura, nessuno specifica che la riduzione riguarda solo i casi più semplici. Non si mente, ma si selezionano le informazioni in modo da dare l’impressione di un sistema che funziona sempre e comunque. È una forma di comunicazione rassicurante, ma ingannevole.

Un funzionario ministeriale, in un’intervista raccolta da un centro di ricerca universitario, ha ammesso che esiste una pressione costante a mostrare solo il lato positivo. “I numeri negativi vengono letti come fallimenti personali” ha detto. Così, invece di usare le relazioni sulla performance per individuare cosa non funziona, si finisce per produrre documenti autocelebrativi che servono più a proteggere l’immagine che a migliorare i risultati.

Un altro nodo è la scelta degli indicatori. Molti enti preferiscono misurare ciò che è facile contare, come il numero di pratiche evase o di utenti serviti, senza chiedersi se quei numeri rappresentino davvero un miglioramento per la collettività. Un centro per l’impiego può vantare centinaia di persone ricevute ogni giorno, ma se poche di loro trovano un lavoro, quel successo resta solo apparente. Allo stesso modo, un ospedale può dichiarare di aver ridotto i tempi di attesa, ma omettere che il tasso di errori o reclami è aumentato. È una logica quantitativa che confonde attività con efficacia.

In questo sistema manca una voce indipendente. Le università, le associazioni civiche o gli osservatori locali potrebbero fornire analisi obiettive, ma spesso non hanno accesso ai dati grezzi. In alcune regioni i report vengono pubblicati in formati non consultabili, rendendo difficile ogni confronto. È una trasparenza che esiste solo sulla carta: formalmente rispettata, ma sostanzialmente svuotata di senso.

Superare questa opacità non richiede nuovi slogan ma un cambio di mentalità. La valutazione non deve essere vista come una minaccia, ma come un’occasione per migliorare. Servono controlli esterni, indicatori comparabili e un linguaggio amministrativo capace di riconoscere anche gli errori. La trasparenza vera non è quella che mostra solo i successi, ma quella che racconta la realtà per intero, con le sue luci e le sue ombre. Solo allora il cittadino potrà fidarsi davvero di ciò che legge e l’amministrazione potrà dirsi, finalmente, responsabile.