Mazzette, favori, incarichi pilotati: la corruzione nella pubblica amministrazione italiana non è un’eccezione, ma una prassi sedimentata. Peggio ancora, spesso si presenta sotto forma di concussione, ovvero quando il pubblico ufficiale impone il pagamento o il favore, abusando del proprio potere.
Dietro la trasparenza dei portali istituzionali si nasconde un sistema opaco fatto di bandi scritti su misura, gare d’appalto truccate e posti di lavoro promessi in cambio di appoggi politici o denaro contante. Un sistema che si nutre dell’assuefazione collettiva e dell’assenza di controlli effettivi.
In molti enti locali, piccoli comuni e partecipate, la differenza tra pubblico interesse e interesse personale è deliberatamente sfumata. Laddove la legge non è chiara, il “favore” diventa moneta. La concussione, in particolare, assume forme più subdole: non più intimidazione esplicita, ma pressione sistemica, sottintesa, difficile da dimostrare in tribunale.
Secondo i rapporti ANAC e Corte dei Conti, la maggior parte degli episodi di corruzione rilevati negli ultimi anni riguarda appalti, urbanistica e sanità. Settori dove la discrezionalità amministrativa è elevata e i controlli esterni carenti.
Il danno non è solo economico. È istituzionale e culturale: distorce la concorrenza, scoraggia i cittadini onesti e crea un clima di sfiducia cronica verso lo Stato. La vera emergenza non è la “mela marcia”, ma l’albero intero.
Finché la lotta alla corruzione sarà affidata solo alla repressione giudiziaria e non alla prevenzione sistemica, il rischio è che tutto cambi per non cambiare nulla. E i corrotti continueranno a firmare con la penna dello Stato.